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La Giornata internazionale dell’Amicizia

Ripensare le relazioni nella neurodivergenza

In rete è facile trovare liste di abilità sociali da insegnare alle persone autistiche per renderle capaci di amicizie. Ma la neurodivergenza mostra invece quanto è importante la varietà e la reciproca conoscenza delle differenze: esser vistə e compresə, mettendo da parte le aspettative e aprendo un vero spazio di incontro.

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Risorsa a libero accesso

30 Giugno 2025

Dott.ssa Sara Pensabene, TNPEE, Referente Regionale per la Calabria

Dott.ssa Giulia Campatelli, Psicologa Psicoterapeuta, Presidente DIRimè Italia APS

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In occasione della Giornata dell’Amicizia, tra una dedica e l’altra alla condivisione, all’affinità e alla socializzazione, il panorama per le persone neurodivergenti e i loro familiari può essere sconsolante. In rete, è facile trovare liste di comportamenti corretti d’amicizia da insegnare aə bambinə neurodivergentə. L’idea profonda e diffusa è che alle persone autistiche bisogna necessariamente insegnare specifiche abilità sociali per creare e mantenere legami di amicizia altrimenti, proprio in quanto autistiche, sono destinate a fallire. Ma con chi fanno amicizia le persone autistiche per esser così destinate all’insuccesso? E di quali abilità sociali indispensabili per l’amicizia stiamo parlando di cui le persone autistiche sarebbero prive?
Si tratta della sincerità, della solidarietà, della collaborazione? Certo. Ma solo se modulate attraverso un intuito fatto di regole implicite e di risposte giuste da dare senza che ci siano spiegazioni in merito. I buoni amici fanno così, punto.

Il rischio di valutare le relazioni di amicizia solo con critieri neurotipici

I buoni amici si comportano così. E che profilo neurologico avrebbero questi due buoni amici da insegnamento? Tendiamo infatti a valutare la costruzione di un’amicizia e le sua modalità di espressione secondo criteri validi nel mondo neurotipico: spontaneità sociale, dialogo verbale fluido, lettura dei segnali implici delle emozioni e la parziale sovrapposizione tra ciò che diciamo e ciò che intendiamo realmente. In altre parole: in una relazione di amicizia, ci si capisce senza nemmeno parlare anche se amiamo parlare insieme tantissimo, conosciamo le intenzioni dell’altra persona anche se a parole afferma tutt’altro, seguiamo rituali sociali in cui sono regole precise che non vengono però mai esplicitate. Una su tutte: quando si è allo stadio iniziale di una conoscenza, solitamente le persone neurotipiche cercano affinità attraverso argomenti più semplici e meno polarizzanti, ad esempio, evitando di condividere subito le proprie convinzioni politiche o eventi di vita profondamente significativi. Come dire, è meno probabile che due persone neurotipiche rompano il ghiaccio confidandosi episodi difficili di salute o della propria infanzia, mentre è più facile che usino battute leggere sulla quotidianità, sulla circostanza che le vede insieme, sul meteo, sullo sport.
Molte persone neurodivergenti riferiscono il contrario: l’avversione allo small talk, ovvero alla conversazione leggera di circostanza, è comune e non viene vissuta come una carenza di abilità sociali bensì come la scarsa tolleranza verso una forma di conversazione che viene vista inutile, poco interessante e piuttosto faticosa. Del resto, quanto è faticoso parlare senza dir niente? Lo small talk, molto presente nel mondo neurotipico, può essere presente anche nel mondo neuroatipico ma generalmente sembra esser preferito con le persone che già si conoscono meglio mentre invece è proprio nelle conoscenze iniziali e superficiali che si sente il bisogno di posizionarsi e mostrare all’ altro chi ha davanti in modo che possa farsi un’idea abbastanza precisa di chi siamo.

Proviamo a cambiare punto di vista

La Giornata dell’Amiciazia ci sembra una buona occasione per approfondire un’idea nuova: e se l’amicizia non si costruisse in un solo modo? Non più comportamenti di amicizia da insegnare bensì come spiegarci reciprocamente i nostri diversi linguaggi per riconoscere subito i nostri segnali reciproci di amicizia. E se le differenze individuali che caratterizzano e distunguono ciascunə di noi non fossero un ostacolo al creare amicizia e al capirsi bensì una risorsa?
Spesso si racconta che le persone autistiche abbiano difficoltà a fare amicizia. Ma spesso i motivi di questa difficoltà sono problematiche specifiche di regolazione emotiva, di processazione sensoriale o di linguaggio verbale. Non l’autismo o la neurodivergenza di per sè. A meno che, forse, la persona neurodivergente non sia inserita in una cornice sociale fatta solo di persone con profili neurologici diversi dal suo e non paghi il prezzo di parlare una lingua sconosciuta ai più. Il problema in questo caso è la mancata conoscenza delle nostre reciproche differenze. In rete, proprio in quei siti in cui è facile trovare liste di abilità sociali da insegnare alle persone neuroatipiche, si trova spesso anche una serie di storie sociali ed esempi in cui il punto di vista neurodivergente è semplicemente assente.
In altre parole: non importa cosa pensi, è sbagliato, lascia che ti insegni il mio modo giusto e saremo ottimə amicə.
Ma questa narrazione è riduttiva, se non distorsiva ed è doveroso da parte di tuttə approcciarsi alle relazioni senza giudicarle sulla base della loro aderenza a uno standard ma interpretandole come incontri tra due soggettività uniche.
«Mi sono sentita aliena… e ho ricercato la solitudine perché ogni relazione era dolorosa»
– Tiziana Naimo, Bradipi in Antartide.
Più facevo a modo mio… più le cose andavano bene… amici pochi, ma ottimi.
– Reddit.

La prospettiva di DIRimè: DIRFloortime e cultura della Neurodiversità umana

Il DIRFloortime insegna a calarsi nell’identità della persona che abbiamo difronte, quali sono le sue caratteristiche uniche, il suo modo di vedere il mondo e se stessə, cosa prova. Non cosa “non fa”. In quest’ottica, l’amicizia diventa una danza di sintonizzazione reciproca, non un’ esibizione di abilità sociali da apprendere tuttə in un solo modo.
DIRimè arricchisce questa visione integrando anche Il problema della doppia empatia formulato dal sociologo autistico Damian Milton. Secondo Milton, le difficoltà comunicative tra persone autistiche e neurotipiche non derivano da un’incapacità unilaterale delle persone autistiche, che difetterebbero di empatia o di Teoria della Mente, ma da una disconnessione reciproca: due mondi esperienziali che si faticano a comprendere a vicenda. Secondo Milton, le persone autistiche e le persone neurotipiche semplicemente utilizzano parametri e indici per comprendere un comportamento diversi tra loro, creando così problemi di traduzione e comprensione reciproca. La “difficoltà relazionale” non sta solo nella persona autistica quindi, ma nell’incontro stesso fra due stili cognitivi e percettivi differenti. Questo capovolge il paradigma deficitario e promuove una relazione più equa, in cui entrambi i soggetti si riconoscono nelle rispettive differenze.
Non siamo incapaci di empatia. Abbiamo un nostro modo di viverla.
Il problema è che spesso nessuno viene a trovarci nel nostro linguaggio.”
– Persona autistica, testimonianza raccolta in ambito clinico

Altri modi per vivere l’Amicizia

Se stiamo parlando quindi di modi diversi di costruire e vivere le amicizie, è necessario anche rivedere ciò che solitamente viene descritto come problematico nelle relazioni delle persone neurodivergenti.
La selettività relazionale e la tendenza all’isolamento sociale
La selettività relazionale tipica di molte persone autistiche è spesso temuta dalle loro stesse famiglie perchè intepretata come rifiuto dell’altro, misantropia, scarso interesse nelle relazioni umane. Il punto di vista neurodivergente è spesso di diverso parere:
la selettività è solo una conseguenza di un bisogno: mantenere autenticità. Il desiderio di evitare grandi gruppi, di prediligere interessi condivisi, di costruire rapporti profondi piuttosto che più numerosi è spesso un segno di ricerca relazionale intenzionale e rispettosa dei propri confini. In un mondo che spesso misura il valore delle relazioni sulla base della quantità, la neurodivergenza ci invita a rivalutare la qualità dei legami. E soprattutto, ci chiede di tollerare l’alterità: quella zona di differenza in cui la relazione non si piega alle regole sociali prestabilite ma si costruisce da zero, passo dopo passo, attraverso una sintonizzazione autentica.
La relazione non è qualcosa da imparare a memoria, ma un percorso che si costruisce insieme, nel rispetto dei tempi, delle emozioni e delle differenze dell’altrə. È questo il vero cuore della relazione umana: non ridurre la complessità a una performance sociale ma accoglierla e lasciarsene trasformare.
L’amicizia è un campo relazionale dove entrambe le persone crescono. Non è solo un bisogno da soddisfare, ma una forma d’incontro che può arricchire entrambi, se ciascuno è disposto a vedere l’altro per com’è.
– Clinico DIRFloortime, supervisione
In questa Giornata dell’Amicizia, possiamo scegliere di celebrare non solo le relazioni che ci somigliano, ma anche quelle che ci sfidano a crescere. Le persone neurodivergenti non hanno bisogno di essere “aggiustate” per stare in relazione. Hanno bisogno di essere viste, ascoltate e riconosciute nei loro modi unici di connettersi. Un’amicizia non deve per forza rispecchiare i modelli che conosciamo e ogni volta che scegliamo di entrare nella relazione lasciando da parte le aspettative, stiamo aprendo un vero spazio di incontro.