Lavoro e Disabilità: l’inversione di tendenza dei mercati
Il tema dell’inclusione lavorativa delle persone disabili è una sfida complessa in tutta Europa ma fondamentale per una società che offra opportunità di partecipazione e raccolta il contributo di ciascunə. In Italia, secondo gli ultimi dati Istat disponibili tra i circa 3 milioni di italiani e italiane con limitazioni gravi solo il 32,5% ha un impiego, a fronte di una percentuale del 55% di quelle con limitazioni non gravi con ampie differenze di genere che vedono le donne penalizzate sistematicamente. In Italia, l’esistenza di una normativa avanzata come la Legge 68/1999, che promuove il diritto al lavoro delle persone disabili attraverso il collocamento mirato, ha avuto un impatto positivo ma persistono barriere culturali, strutturali ed economiche che ostacolano, se non disincentivano, un processo che stenta a sistematizzarsi.
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1 Maggio 2025
Dott.ssa Giulia Campatelli, Psicologa Psicoterapeuta, Presidente DIRimè Italia APS
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Una normativa virtuosa ma in un contesto ancora denso di barriere
La Legge 68/1999 è uno strumento importante che obbliga le aziende con più di 15 dipendenti ad assumere una quota di lavoratorə disabili. Tuttavia, la sua applicazione risulta spesso parziale o inefficace. Tra le principali difficoltà per una persona disabile che cerca di entrare, e rimanere, nel mercato del lavoro vi sono:
Disinformazione e stereotipi
Molte aziende continuano a vedere la disabilità unicamente come un limite sottovalutando sistematicamente le competenze delle persone disabili. Ma, al tempo stesso, nutrendo anche la falsa credenza che, a dispetto dei dati ISTAT di occupazione tra le persone disabili rispetto al resto della popolazione, esista una sorta di corsia preferenziale che agevolerebbe la disabilità togliendo lavoro al resto deə lavoratorə. In questa surreale e infondata credenza di “dittatura delle minoranze”. Come scriveva Fabrizio Acanfora a gennaio 2025
Dopo Boeing, McDonalds, Amazon e altre corporation, anche Meta ha deciso di cancellare i programmi di Diversity, Equity, and Inclusion (DEI). Tra le varie motivazioni alla base della decisione di Meta, oltre alla considerazione che il panorama giuridico e politico sull’inclusione sta cambiando, c’è l’idea che le politiche di inclusione della diversità siano intese “da alcuni come una pratica che suggerisce un trattamento preferenziale di alcuni gruppi rispetto ad altri”. Un argomento che si allinea alla retorica della destra ultraconservatrice ormai egemone, che accusa queste iniziative di alimentare la cosiddetta “cultura woke” e di imporre una fantomatica “dittatura delle minoranze”.
Accessibilità
Non solo l’accessibilità fisica, con la rimozione delle barriere architettoniche e struttutali nell’ambiente di lavoro, ma anche l’accessibilità tecnologica e comunicativa dei processi di selezione del personale, di intervista, di raccolta di informazioni sulle competenze e di formazione e affiancamento nell’inserimento lavorativo: ogni aspetto del processo di ingresso nel mondo del lavoro sembra pensato per penalizzare coloro che si discostano da modalità più comuni di parlare, pensare, organizzare il tempo e le relazioni. Ne abbiamo parlato nel progetto AUTentici di DIRimè e NeuroPeculiar già nel 2011 in questa diretta.
Cultura aziendale in mutamento
La legge 68/1999, pur creando opportunità e aperture lavorative prima impensabili e quindi una sistematica maggior apertura delle aziende alla popolazione disabile, si pone nell’ambito di un sistema culturale che delega alle aziende e all’andamento del mercato, invece che alla società civile e alla politica, la tutela dei diritti deə lavoratorə. E le aziende seguono il profitto e la cultura egemone al momento: se l’ultra destra internazionale alimenta populismo e disinformazione, ecco man mano venir meno i programmi aziendali progressisti di inserimento deə lavoratorə divergenti.
Buone pratiche da riportare come pertinenza della politica e del vivere insieme
Nonostante le difficoltà, esistono a macchia di leopardo esperienze virtuose: cooperative sociali, imprese etiche e realtà aziendiali sia familiari che multinazionali che hanno investito nell’inclusione da cui sono nate nuove figure come i job coach, figure professionali che accompagnano la persona disabile nel percorso di inserimento e nel mantenimento del posto di lavoro. Il grande assente sembra però sempre l’agenda politica dei governi a cui l’inserimento lavorativo delle persone disabili, e quindi di contro i diritti lavorativi delle persone disabili, non sembra rientrare nel proprio ambito di pertinenza e interesse. Il governo Conte nel 2019 ha addirittura istituito il Ministero per le Disabilità sollevando la critica secondo cui le persone disabili sono cittadinə esattamento come il resto della popolazione e perseguenti gli stessi bisogni di diritto allo studio, inserimento lavorativo, accesso a cure sanitarie adeguate, indipendenza abitativa e partecipazione sociale. Come dire, la qualità di vita, e di inserimento lavorativo, delle persone disabili, riguarda tutti i Ministeri e tutta la società italiana.

